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PURO FUTBOL: Alexis Sanchez, il passato irrespirabile di una meraviglia del calcio

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Lusso in campo per chi fu "il più povero tra i poveri": Alexis Sanchez (foto: la rete)

Lusso in campo per chi fu “il più povero tra i poveri”: Alexis Sanchez (foto: la rete)

Benvenuti a Tocopilla, “la tana del diavolo”, uno dei luoghi più poveri e inquinati di tutto il Cile, 1600 chilometri a nord della capitale Santiago. Stretta fra Ande e Oceano Pacifico e circondata dal deserto di Atacama, Tocopilla rientra tra le così dette “zone di sacrificio” del paese, quelle località dove le megacentrali termoelettriche a carbone sono ormai parte integrante del paesaggio e male necessario per lo sviluppo dell’industria estrattiva. Gli effetti collaterali – il “sacrificio”, appunto – inquinamento, tumori, malformazioni e alti tassi di mortalità infantile.

Arsenico nell’acqua, piombo per terra e anidride solforosa nell’aria: la ong ambientalista Oceana conferisce a Tocopilla il poco invidiabile titolo di “zona satura” a metà del 2007, pochi mesi prima che un terremoto rada al suolo 2.500 case, provocando 2 morti e 10.000 sfollati. Troppo poveri anche per morire, a Tocopilla: violentata per oltre un secolo, madre natura aveva tentato di porre fine alle sofferenze dei suoi abitanti senza fare i conti con la sua architettura precaria, a base di fango e lamiere, insufficiente a uccidere chi vi fosse rimasto sotto durante un crollo.

Coincidenza o saggezza popolare, la costruzione della città sembra aver rispettato le esigenze di una logistica macabra e rassegnata: quasi a voler ridurre i costi di trasporto delle salme, il livello di indigenza e mortalità aumenta avvicinandosi al cimitero, nei pressi del quale sorgono gli agglomerati di baracche più fatiscenti. Il pomeriggio del 14 novembre del 2007, cinque minuti dopo la prima scossa, l’unica casa a rimanere in piedi nel quartiere adiacente il camposanto sarà quella in fondo alla via Capitàn Orella, abitata da Martina Sanchez, giovane madre di Humberto, Marjorie, Tamara e Alexis, il ragazzino che in Cile, da alcuni anni, tutti chiamano il Niño Maravilla.

La caduta delle linee telefoniche e l’impossibilità di chiamare casa faranno impazzire Alexis, che apprende la notizia del sisma a Buenos Aires, dove a soli 19 anni è uno dei riferimenti del River Plate di Daniel Passarella. Sarà la voce della sorella Marjorie a tranquillizzarlo all’indomani, convincendolo a rimanere in Argentina: i primi dollari guadagnati con il suo passaggio dal Colo Colo di Santiago erano stati spesi bene, e i piloni in cemento armato avevano resistito e salvato l’intera famiglia. L’anno seguente, agli ordini di Diego Simeone – facendo reparto con Radamel Falcao e Ariel Ortega – Alexis vincerà il Torneo Clausura, e il Monumental tornerà a inneggiare «chileno chileno» dieci anni dopo l’exploit con la maglia del Millonario di uno dei suoi idoli, El Matador Marcelo Salas.

«Eravamo i più poveri tra i poveri» ha dichiarato qualche mese fa il fratello Humberto ai golosi reporter inglesi del Sun. «Alexis è nato e cresciuto senza niente, combattendo per conquistare tutto quello che ha, si è guadagnato da vivere per strada, come poteva. Se fosse rimasto a Tocopilla, in mezzo a droga, alcol e furti, sarebbe finito male» recita il servizio sulle umili origini dell’asso dei Gunners di Wenger.

Ardilla, “scoiattolo”, è come lo battezza il quartiere quando in cambio di pochi pesos comincia ad esibirsi in evoluzioni aree e acrobazie. «Sembrava un piccolo ginnasta, sempre in movimento, e quando aveva fame bussava alle porte dei vicini, che non gli rifiutavano mai un pezzo di pane» raccontava alla stampa spagnola José Delaigüe –marito della zia materna e punto di riferimento di Alexis dopo l’abbandono del padre minatore – prima di spegnersi per un cancro a prostata e reni, nella villa che quel niño riconoscente gli aveva regalato dopo il crollo della sua casa, in quel maledetto terremoto del 2007.

Per lo “scoiattolo” ogni espediente era buono per racimolare qualche moneta: dalle acrobazie sul marciapiede ai round di boxe improvvisati con i coetanei utilizzando vecchi guanti da pugile, alle macchine lavate nei pressi del cimitero, per poi finire inevitabilmente a correre dietro al pallone nei campetti in cemento del Maracanà e del Vecinal, neri come la fuliggine che offusca il cielo di Tocopilla.

I tornei amatoriali saranno la sua prima vetrina. «Era magro, denutrito e scalzo, se la vedeva sempre con i più grandi e non aveva paura, l’unica cosa che chiedeva alle squadre che lo chiamavano per giocare era un paio di scarpe»: Juan Segovia, il suo primo allenatore, lo nota all’età di 13 anni e convince la madre che l’uscita da quell’inferno di carbone e acque contaminate potrebbe nascondersi nel futbol.

Nel 2003 la scuola calcio del Cobreloa di Calama, altro centro estrattivo a 120 chilometri da casa, accetta di pagargli la retta di 1000 pesos cileni mensili – più o meno una sterlina, sottolinea la stampa inglese – che mamma Martina non poteva permettersi. Quando il 12 febbraio del 2005 Alexis fa il suo debutto in prima divisione, entrando al minuto ‘71 della quinta giornata del Torneo di Apertura, il cronista sportivo Jaime Cortés del quotidiano El Mercurio annota sul suo taccuino due parole che ben presto cominceranno a fare il giro del mondo: nella cronaca del rocambolesco 5 a 4 tra Cobreloa e Deportivo Temuco uscita il giorno seguente, il diciassettenne Sanchez diventa finalmente il Niño Maravilla.

Colo Colo, River, Udinese e Barça le successive tappe prima di sbarcare a Londra, dove nel novembre del 2013, quando ancora veste la maglia blaugrana, ammutolisce la bolgia di Wembley con una perentoria doppietta. Inghilterra-Cile finisce 0 a 2 come quindici anni prima, quando in preparazione al mondiale francese, nel febbraio del ’98, Marcelo Salas bucava per ben due volte la rete difesa da Nigel Martyn, prendendosi le prime pagine dei tabloid di Sua Maestà. A Tocopilla non avranno dubbi: il Niño Maravilla si è trasformato in Matador.


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